I GHIACCIAI. Il massiccio dell'Ortles-Cevedale è il massimo rilievo di una vasta area montuosa di rocce sedimentarie carbonatiche. Nella suddivisione tettonica delle Alpi, tali formazioni sedimentarie appartengono alla più vasta unità geologica nota come Austroalpino superiore. Il grande corpo sedimentario poggia a sua volta su un basamento di rocce cristalline e metamorfiche.
Durante l'Era Glaciale, anche queste montagne, come del resto tutta la catena delle Alpi, furono ricoperte da una spessa coltre di ghiacci che spingevano le loro lingue terminali fino alla Pianura Padana, giungendo quasi alle soglie dell'odierna Milano. Solo le vette maggiori emergevano da questo immenso mare di ghiacci che, con lenta e inesorabile azione, nel corso di alterni momenti di ritirata e avanzata, modellò l'orografia del massiccio. Data la notevole solubilità delle rocce carbonatiche, le acque ebbero un ruolo determinante nella formazione di profonde gole e forre fra cui anche quella all'imbocco della Valle del Braulio. Un nuovo avanzamento dei ghiacci si ebbe durante la Piccola Età Glaciale, durata approssimativamente dal 1550 al 1850. Al termine di questo periodo è iniziata una tendenza al ritiro che, seppure con qualche fase di ripresa, perdura tutt'oggi. Un breve periodo di avanzamento fu registrato durante gli anni Venti, ma non bastò certo a invertire l'andamento del fenomeno verso il generale regresso, che ha portato alla scomparsa di alcuni ghiacciai minori quali quello dello Scorluzzo e del Vedrettino.
Indicazioni generali circa la portata e l'entità del ritiro dei ghiacciai della regione sono forniti da studi particolarmente attenti, e prolungati nel tempo, della Vedretta dei Vitelli. Nel secolo scorso la fronte del ghiacciaio giungeva quasi a lambire la strada dello Stelvio toccando il Lago del Mot (2449 m). Da allora fino al 1977 il ritiro del ghiacciaio è stato di ben 900 m; è seguita poi una leggera avanzata di circa 100 m che si è conclusa nel 1985, anno in cui è ripresa la fase negativa che tuttora prosegue.

IL GIPETO NEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO

Il Parco Nazionale dello Stelvio è stato istituito nel 1935. Ubicato al centro della catena alpina, nelle Alpi Retiche, attualmente, dopo un ampliamento di superficie deciso nel 1977, copre un'area di 134.620 ettari, distribuiti su 24 comuni delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Trento. Il Parco confina a Nord con la Svizzera ed è a diretto contatto per alcuni chilometri, in Valle di Livigno, con il Parco Nazionale Svizzero dell'Engadina; a Sud confina con il Parco Naturale dell'Adamello-Presanella e, tramite questo, con il Parco Regionale dell'Adamello. Così il Parco Nazionale dello Stelvio, che già da solo per estensione è il più vasto di tutte le Alpi, rappresenta il cuore di un'ancor più vasta area protetta, che si estende complessivamente per quasi 300.000 ettari.

È proprio in quest'area che hanno trovato rifugio occasionale e, con il tempo stabile dimora, diversi esemplari di gipeto liberati a più riprese a partire dal 1986 in Austria e successivamente, nel 1991, nell'Engadina. Il gipeto fu oggetto di una spietata caccia che ne determinò la scomparsa dalle Alpi, con l'ultimo esemplare abbattuto nel 1913. Il progetto, per la reintroduzione del meraviglioso avvoltoio nelle Alpi, prese timidamente il via negli anni '70 ed oggi è una realtà ben consolidata. I gipeti reintrodotti in Svizzera e che oggi vivono nel Parco hanno preso possesso di una vasta area del settore lombardo, ma non mancano sporadici avvistamenti nelle valli dei settori trentino e alto-atesino. Nel settore lombardo è facile, con molta pazienza e buon occhio, avvistare la maestosa silhouette del gipeto alzarsi in volo dalle pareti rocciose sovrastanti la strada dello Stelvio e librarsi, nel periodo estivo, sopra il Monte Scorluzzo, il Monte Livrio fino al Passo dello Stelvio. Questo areale, prescelto per la vicinanza dalle zone di rilascio, è inoltre molto ricco del cibo preferito dal gipeto che, come tutti gli avvoltoi, si nutre di animali morti. Ingiustamente chiamato "avvoltoio degli agnelli" in virtù di inesistenti caratteristiche predatorie, e accusato di strage di animali domestici, il gipeto ha una dieta composta per circa i 3/4 di ossa, immangiabili da qualsiasi altro uccello, con una quantità di cibo giornaliera valutata in circa 500 grammi. Pur dotato di tutti gli adattamenti che consentono di sfruttare al massimo questa particolare dieta, il gipeto ha perfezionato una tecnica particolare nel rompere le ossa di maggior grandezza, facendole cadere dall'alto con invidiabile precisione, sulle rocce sottostanti.

 


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