PRESENTAZIONE

Sono poche le montagne che meritano un museo.
Ci sono infatti molti musei della montagna, ma sono relativamente pochi quelli dedicati a una sola, che nel corso del tempo è stata testimone di tali e tanti avvenimenti da meritare, da richiederne anzi uno proprio. Lo Stelvio è una di queste.
Non è stata mai una montagna da contemplare e il suo pedigree artistico-letterario perciò non vanta particolari titoli di nobiltà. Meyer all'inizio dell'800 lo rappresentò nelle stampe del suo celebre viaggio, Cantù accennò una descrizione romantica dei suoi ghiacciai, Arthur Schnitzler vi ambientò una sua novella, "Gerolamo il cieco e suo fratello", Massimo Bontempelli ne descrisse il clima epico della Prima Guerra Mondiale.
È stata sempre, invece, una montagna da vivere. La sua storia però non è antica, risale a poco più di 170 anni fa, quando fu inaugurata la strada che ha imbrigliato il gigante avvitandosi come un immenso serpente lungo i suoi versanti e lo ha reso docile all'uomo, alla sua vita, ai suoi furori, alle sue follie. Da allora la strada è stata la vena iugulare di questa montagna, entro cui non ha smesso un attimo di pulsare la storia, quella piccola e quotidiana dei "rotteri" che la mantenevano pulita e praticabile, quella festiva ed estiva del turismo e del loisir (dal grande turismo di transito fra Otto e Novecento a quello sciistico degli ultimi decenni), quella epica del ciclismo ("un uomo solo al comando...") quella grande e terribile della guerra, da quelle risorgimentali alle due ultime mondiali, la prima soprattutto, che ha avuto il suo simbolo nella trincea, questo luogo della paura e dell'incertezza, dell'attesa e del coraggio che ha lasciato una traccia indelebile nell'anima moderna dove vive qualcosa dello spirito eccitato, discontinuo e perennemente insoddisfatto del reduce.
Una storia così densa di avvenimenti importanti sarebbe stata inconcepibile senza quella strada così ardita che giunge ai tremila metri del Passo.
È perciò giusto che questo museo venga dedicato a Carlo Donegani che la realizzò nel 1825 per l'Imperial Regio governo, ricevendone come ricompensa, fra l'altro, un titolo nobiliare.
Non è quello realizzato dalla Banca Popolare di Sondrio un museo storico in senso stretto. Non vi troviamo infatti conservati ed esposti molti oggetti, cimeli, testimonianze, materiali di tutto ciò che ha fatto la storia del Passo, di ciò che un tempo è stato vivo e che ora, accendendosi dell'aura nobile del tempo, è diventato solo fonte di conoscenza. Si tratta piuttosto di un museo dove, attraverso immagini e foto d'epoca, ampiamente didascalizzate e alternate a documenti, si viene a comporre sotto gli occhi del visitatore, il grande puzzle della storia del Passo.
Fa eccezione la suggestiva ricostruzione di un lacerto di trincea, che campeggia al centro dell'ampia ed elegante sala, irradiando di sè tutto l'ambiente. È una trincea un po' più piccola di quelle reali, fatta però con gli stessi sassi, le lamiere e il filo spinato d'epoca e, sparse al suo interno, le munizioni e le bombe a mano italiane e austriache confuse insieme, quasi che, in questo 1998, a ottant'anni dalla fine della Grande Guerra, i due nemici di allora fossero tornati nelle vecchie trincee a stringersi idealmente, in segno di pace, la mano l'un contro l'altro armata di un tempo.
Così la Banca Popolare di Sondrio, che ha qui a tremila metri lo sportello più alto d'Europa, con annessa una spaziosa sala riunioni, e che dal 1985 gestisce la vecchia, gloriosa Pirovano, "L'Università dello sci", lo sci estivo dello Stelvio, cui Luca Goldoni ha dedicato anni fa un gustosissimo articolo, contribuisce ancora una volta al rilancio turistico del Passo, anche con iniziative come questo piccolo museo sui generis, uno spazio di conoscenza che si lega a quello del museo storico di Bormio e a quello Vallivo della Valfurva, insieme ai quali viene a dare il posto che spetta all'uomo in questo immenso parco della natura che si riassume nello Stelvio.

Franco Monteforte


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